Impresa – distribuzione utili – concetti, norme e consuetudini
1. Premesse
Le imprese producono utili nel corso della loro attività, giorno per giorno. Gli utili prodotti si conoscono però solo nel momento in cui possono essere misurati.
Per convenzione (in tutto il mondo) gli utili si misurano almeno una volta ogni anno. La contabilità generale delle imprese e il bilancio hanno tra gli altri anche questo compito.
I dodici mesi di gestione alla fine dei quali si misura l’utile del periodo in genere corrispondono all’anno solare (dal 1° gennaio al 31 dicembre). Nelle società di capitali (Srl, SpA) i soci possono decidere che l’anno fiscale sia differente (ad es. dal 1° luglio al 30 giugno).
Lo strumento tecnico per misurare l’utile delle imprese è il bilancio.
L’entità dell’utile realizzato dalle imprese interessa anche il fisco. Le imprese devono dichiarare annualmente il proprio reddito (reddito imponibile) e sulla base di questo (in misura anche molto diversa nei vari paesi), devono versare le imposte, dette “Imposte Dirette”.
Ogni paese ha le proprie regole per determinare il reddito imponibile partendo dall’utile. All’utile si aggiungono e si tolgono alcune variazioni in base alle norme fiscali, sicché utile di bilancio e reddito imponibile quasi mai coincidono.
Ad esempio, si aggiungono le spese che il fisco non consente di dedurre (parte delle spese sostenute per l’acquisto e la manutenzione delle autovetture, i compensi non pagati agli amministratori, parte delle spese telefoniche, e altro). Pertanto, si pagano le imposte sull’utile e sulla quota indeducibile di parte delle spese sostenute.2. Prelievo degli utili
L’imprenditore ha il diritto di prelevare gli utili. Non è però libero di prelevarli quando gli pare. Deve rispettare le norme ad hoc previste.
Le norme italiane (e molto simili sono quelle europee e dei principali paesi industrializzati di tutto il mondo) impongono che gli utili vengano prelevati solo quando essi diventino prelevabili.
Gli utili divengono prelevabili quando soddisfano queste condizioni:
- quando sono definitivi (cristallizzati);
- se l’impresa è posseduta da più soggetti (cioè è una società), occorre che venga formalmente approvato il bilancio;
- se la società è di capitali (Srl o SpA), oltre all’approvazione del bilancio serve una formale decisione dei soci (delibera assembleare) che vincoli la società a distribuire gli utili.
Perciò nelle imprese individuali l’utile è prelevabile dal titolare dopo la redazione del rendiconto che li determina. Agli imprenditori è fatto divieto di prelevare utili prima che vengano cristallizzati (cioè determinati e resi definitivi dal bilancio).
Nelle società di persone (snc, sas) l’utile è distribuito dalla società dopo la redazione del rendiconto e la sua approvazione da parte dei soci, ex art. 2262 c.c. “salvo patto contrario ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto”. Non corrisponde al vero che le società di persone possano liberamente distribuire somme ai soci nel corso della loro vita sulla base di un loro consenso unanime. Agli amministratori è fatto divieto di distribuire gli utili se non sono rispettate le suddette condizioni, in forza dell’art. 2303 c.c. Si tratta di una previsione di natura imperativa. Ciò è desumibile dal fatto che l’art. 2627 c.c. sanziona penalmente, anche nel contesto delle società di persone, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti.
Nelle società di capitali l’utile è distribuito dopo la redazione del bilancio, dopo la sua formale approvazione da parte dei soci (tassativamente in una assemblea che si deve svolgere nella forma stabilita dalla legge), dopo la delibera dei soci che si proceda alla distribuzione. Quest’ultima delibera trasforma gli utili da distribuire in dividendi. Perciò, verificatesi le tre condizioni, la società esegue il pagamento dei dividendi. Agli amministratori è fatto divieto di distribuire dividendi se non sono rispettate le tre condizioni.
3. Consuetudini
Le consuetudini degli imprenditori e dei soci sono spesso difformi dagli obblighi e divieti imposti dalle norme.
Quasi tutti i titolari di imprese individuali e i soci d’opera delle società di persone, ritengono che sia un loro diritto prelevare durante l’esercizio un compenso, così come i lavoratori dipendenti percepiscono una retribuzione periodica fissa. L’unico collegamento con l’utile può essere fatto parametrando il mensile alla media degli utili degli esercizi precedenti. Quello in corso di produzione non si conosce (salvo tramite la predisposizione di bilanci infrannuali specifici).
Il fenomeno si estende a volte ai soci operativi delle srl unipersonali o con pochi soci e magari dell’ambito parentale.
In termini di diritto questi prelievi rappresentano anticipazioni di utili (cioè una violazione della legge che li vieta). Contabilmente questi devono essere registrati come crediti dell’impresa verso titolare/soci.
Dopo la chiusura del bilancio e la determinazione dell’utile del periodo chiuso, nelle scritture di apertura del nuovo periodo, l’utile (cristallizzato) ed il credito verso titolare/soci vengono compensati. Se i prelievi risultano inferiori all’utile prelevabile residua una somma che può essere prelevata (lecitamente).
Gli utili non prelevati contribuiscono a generare autofinanziamento (cioè sostegno finanziario all’attività dell’impresa eseguito con mezzi di titolare/soci) e patrimonio netto positivo in bilancio e autofinanziamento. Un’impresa con patrimonio netto positivo gode di maggiore affidabilità, anche da parte degli istituti di credito. Perciò gode di migliori condizioni per le concessioni di credito (fidi maggiori e costo del denaro minore).
Nel caso in cui i prelievi eseguiti in corso d’anno risultino superiori all’utile del periodo chiuso, dev’essere rivisto al ribasso il mensile, oltre che ripianato il credito residuo dell’impresa da parte di titolare/soci.
In caso di prelievi costantemente (per più anni) superiori all’utile prelevabile si creano patrimoni netti negativi e crediti verso titolare/soci che possono compromettere l’equilibrio finanziario dell’impresa. Le imprese devono ricorrere a finanziamenti onerosi di terzi.
Questo comportamento genera conseguenze negative e rischi.
Nei rapporti con gli istituti di credito si è penalizzati nell’entità degli affidamenti (salvo rilascio di garanzie personali di titolare/soci) e costo del denaro maggiore.
Nei rapporti con il fisco gli interessi passivi pagati agli istituti finanziari sono indeducibili nella misura rapportata all’eccedenza di prelievi. La motivazione è che parte (o la totalità) dei finanziamenti onerosi di terzi non sono utilizzati nell’impresa e non sono inerenti all’attività, bensì sono confluiti nelle disponibilità di titolare/soci per spese/investimenti dei medesimi.
Nel caso vengano comunque dedotti interessi passivi indeducibili, a seguito della contestazione del fisco verrebbero recuperate le imposte evase con interessi e sanzioni. Con imposte evase superiori a determinati limiti il fisco esegue la segnalazione alla procura della Repubblica competente, per la comminazione di sanzioni penali.
In caso di dissesto finanziario, cioè sopravvenuta incapacità dell’impresa a far fronte ai propri debiti, se i soci non provvedono al ripianamento dei crediti verso il titolare/soci, per l’impresa si apre il fallimento (o altre procedure giudiziarie), con l’aggravante della bancarotta a carico di titolare/soci amministratori. Sono previste anche sanzioni penali.
- 4. Prelievo utili nelle srl a ristretta a base sociale
Nel caso di srl a ristretta compagine socia, come già accennato si possono ripetere le situazioni previste nel paragrafo precedente.
Si è soliti ritenere che le srl comportino responsabilità personali dei soci limitate al capitale versato. In realtà non è così, per soci-amministratori e anche per gli altri soci se sono dello stesso nucleo familiare, o sono soci che apportano la loro opera e partecipano alla distribuzione delle cd. retribuzioni mensili (o comunque anticipazioni sugli utili, che sono vietate).
Un illecito di minore gravità è la distribuzione di utili (dopo l’approvazione del bilancio e correttamente in misura uguale o inferiori agli utili distribuibili), senza una specifica delibera assunta in assemblea. In tal caso la violazione è solo formale ed è imputabile all’organo amministrativo.
Nelle società di capitali occorre fare attenzione altresì che dopo la delibera di distribuzione gli utili (divenuti dividendi e contabilmente debito della società verso i soci) vengano effettivamente distribuiti.
Se per indisponibilità di risorse finanziarie o per altri motivi i dividendi non venissero distribuiti entro cinque anni, il diritto del socio cadrebbe in prescrizione (art. 2949, co. 1, codice civile). In questa ipotesi, così come in quella di rinuncia del socio al proprio diritto di percezione, il debito della società si estinguerebbe e per lo stesso importo si realizzerebbe una sopravvenienza attiva (per sopravvenuta insussistenza di una posta passiva) e un incremento del patrimonio netto (riserve di utili) della società. Qui si innesterebbe un annoso problema fiscale di determinazione della parte tassabile della sopravvenienza (tassabile in capo alla società) e di tassazione in capo ai soci di un cd. incasso giuridico (cioè non reale bensì figurativo, ai soli fini del prelievo fiscale), per orientamento dell’Agenzia delle entrate e adesione (ondivaga) della Cassazione. Cioè il socio dovrebbe versare in anticipo l’Irpef dovuta su di una somma non percepita ma che, per il medesimo importo, comporterebbe un incremento del valore fiscale della propria partecipazione. Per questi motivi occorre prendere nota che rinuncia ai dividendi e prescrizione degli stessi andrebbero prudentemente evitati.
Gli appunti di queste pagine sono frutto di semplificazioni per renderli comprensibili ai non addetti ai lavori. La materia è in realtà molto più complicata, soprattutto quando si approda al contenzioso fiscale, civile e penale.